Riportiamo di seguito l’articolo de Il Libero Professionista reloaded sull’Avv. Alberta Antonuci


NON CHIAMATECI INFLUENCER

Avvocata non-convenzionale

Ricorrendo al calembour l’hanno definita inf-law-encer giocando sulla traduzione inglese della parola legge e su un ruolo che ben conosce pur non ritenendo di poterlo o volerlo interpretare appieno.

Lei è l’avvocata – «con la a», puntualizza – milanese d’adozione Alberta Antonucci che in fondo gli influencer li ha scoperti specializzandosi nel mondo del web e scoprendo il valore che essi, già agli albori di YouTube, potevano avere per i grandi produttori in cerca di testimonial in rete. E avvedendosi di come, sottoposti a pressioni d’ogni tipo e digiuni di contrattualistica, essi avessero innanzitutto bisogno di tutela legale.

Dai cavilli e le righe scritte in piccolo, ma anche dai danni di immagine e pecuniari che potevano loro derivare dall’adozione di una condotta inappropriata. Sono così nati dapprima il servizio On the Influencer Side (OTIS) – «maggiormente focalizzato sugli influencer» – e poi il più generalista On the Web Side «perché l’influencer marketing è solo un profilo delle molte attività presenti in rete».

Infatti a un certo punto le stesse software house hanno scoperto di aver bisogno di essere salvaguardate, pure per problemi solo in apparenza banali. «L’influencer marketing», ha detto Antonucci, «non è solo un mestiere e non si esaurisce coi post: è uno stile di comportamento che attiene ai modi e ai toni delle risposte ai commenti e si riflette su una vita privata che, lo si voglia o no, è sempre più pubblica».

L’influencer è ciò che mangia

Ovvero: è un boomerang, pure sotto l’aspetto contrattuale ed economico, cadere nella trappola della maldicenza e del turpiloquio reagendo sguaiatamente; lo è l’incoerenza di chi ha sposato la causa vegana e si fa pizzicare mentre addenta una fiorentina; il vaneggiamento dello youtuber alticcio. Evitare gli errori, gestirli in caso di necessità, da una parte e l’altra della barricata: questa la mission della giurisperita che al tailleur preferisce un look – l’espressione è sua – «un po’ da fashion victim» e che la sua esperienza la trasferisce, per pura passione e senza uno storytelling specifico, al web. «Posso dire», ha considerato, «che l’educazione paga sempre ed è uno dei valori aggiunti che i brand chiedono alle professionalità che li rappresentano: una netiquette che li tenga alla larga dalle beghe e maniere di più basso livello, consci che le shitstorm possono capitare a tutti e vanno fronteggiate».

Eventualmente anche (per quanto le star siano le specialità di Antonucci) dai professionisti che all’influencer marketing e dintorni si affacciano da appassionati neofiti. «La presenza sulle varie piattaforme», ha osservato, «è un’opportunità anche qualora passi per consulenze, spot e strategie meno mirate e articolate.

A loro volta devono tuttavia essere consci del fatto che Internet e i social celano insidie inattese e la comunicazione deve essere amministrata in modo del tutto oculato». Magari, senza rinunciare all’idea di avere alle spalle un efficace servizio di tutela legale a 360 gradi.

Ivana D’Addario